Antonio Pascale per Il Foglio
Pubblicità, slogan slow e luoghi comuni vogliono convincerci che una volta il cibo era migliore e c’ era più biodiversità. Balle. Servono ingegno umano e processi industriali per mangiare bene e tutti
Vi prego, non vi arrabbiate. Vorrei provare a discutere due convinzioni. La prima: il cibo di una volta era migliore. La seconda: una volta c’era più biodiversità. No no, aspettate, non chiudete il giornale, non ho intenzione di provocare gli animi dei lettori, e poi, soprattutto, in fatto di cibo la penso come tutti: voglio mangiare bene e sempre, desidero che mangino tutti e voglio inquinare il meno possibile. Insomma, voglio tutto e con meno costi, quindi, appunto, la penso come tutti, scusate il bisticcio.
Fate caso ad alcune pubblicità? Quelle del latte: un bonario contadino che munge a mano. Il latte bianco e puro che stilla come un’onda. Ora, osservate la successione dei vostri pensieri: munto a mano quindi naturale, naturale quindi pulito. Dunque, per associazione il latte di una volta – e le mungiture di una volta – era più sano. Naturalmente, chi detiene un po’ di conoscenza scientifica e zootecnica non gradisce molto quelle pubblicità. Questi tecnici vi diranno che il latte ottenuto con la mungitrice meccanica è più controllato, più sicuro, soprattutto protegge le mani al mungitore che tra l’altro sono rovinate dall’artrite e piene di calli. Ma rompere queste associazioni – naturale uguale buono, industriale invece è malsano – è estremamente difficile e controproducente.
Per essere precisi bisognerebbe raccontare la storia dall’ inizio, per esempio, di quando Louis Pasteur, professore di Chimica a Lilla, presentò alcuni suoi esperimenti sull’ inacidimento del vino e del latte, a un convegno tenutosi alla Sorbona. Era il 1864. Riteneva che i germi vivessero dovunque e fossero, altresì, i principali responsabili dei processi fermentativi. Con i suoi esperimenti, Pasteur dimostrò che i germi potevano essere eliminati mediante bollitura. Questa scoperta condusse all’attuale pastorizzazione del latte.
Ora, appunto, nell’immaginario pubblicitario, non capita quasi mai di vedere un impianto di pastorizzazione, con i suoi bellissimi e lucenti tubi d’ acciaio ad angolo retto che permettono al latte pompato nel sistema, di rimescolarsi ogni volta che incontra l’angolo. In questo modo, il calore di pastorizzazione non si ferma in superficie ma interessa anche gli strati più profondi del liquido.
Certo, sarebbe utile, oltreché bello, se le pubblicità rendessero di tanto in tanto omaggio oltre ai mungitori, anche a Pasteur. Perché la scoperta dell’acqua calda, contrariamente al noto proverbio, è stata, in realtà, un’importante conquista per l’ umanità. Ma è difficile. Io stesso se fossi un pubblicitario avrei problemi a immaginare uno spot siffatto, poi chi li sente quelli di Slow Food? Il loro manifesto fondativo comincia così: “Questo secolo, nato e cresciuto sotto il segno della civiltà industriale, ha prima inventato la macchina e poi ne ha fatto il proprio modello di vita. La velocità è diventata la nostra catena, tutti siamo in preda allo stesso virus: la fast life”. Vedete?
Questi sì che sanno parlare, evocano il Secolo, la Macchina, il Virus e io sto qui a parlarvi di Pasteur e degli impianti di mungitura industriali? Dai, non c’ è partita. Eppure è importante conoscere alcune coordinate d’ insieme.
Capisco, l’equazione naturale buono vs macchina cattiva sgorga, sì, spontanea, ma è sbagliata, davvero. In genere per smontare la suddetta, noi tristi tecnici cerchiamo di spiegare che prima di tutto la natura non pensa a noi. Il melo non fa le mele per me. Non ci pensa proprio. Al massimo fa le mele affinché gli orsi mangiando il frutto disseminino i semi. Insomma, il melo fa le mele perché pensa a riprodursi. Secondo: la natura comprende tutto e non sta mai ferma, è frutto di interazioni incessanti, la natura detesta la staticità. Avete presente il cavolo? Quell’ odore di zolfo? Anche quello è un pesticida.
La Nostra Riposta
Pubblicità, slogan slow e luoghi comuni vogliono convincerci che una volta il cibo era migliore e c’ era più biodiversità. Certamente nessuno vuole fare a meno delle tecniche di conservazione e delle pratiche igieniche attuali. Servono ingegno umano e conoscenza dei processi naturali per poter far mangiare bene tutti e provare a sprecare meno.
L’approccio di questo articolo è tipico di una cattiva informazione. Vale la pena conoscere le realtà agricole del secondo millennio. Quelle che cercano di fare qualche cosa di utile per nostro futuro, per la difesa dell’ambiente, delle produzioni di qualità, del rispetto nei confronti degli animali che alleviamo, del ripristino e del miglioramento della fertilità dei suoli depauperati da anni di uso indiscriminato di concimi e prodotti chimici Sicuramente potrebbe destare un interesse nei confronti di un sistema diverso e innovativo un metodo agricolo che vuole imitare l’industria e i suoi numeri ormai evidentemente obsoleto.
Agricoltura biologica, biodinamica o agro-ecologia non sono affatto sinonimi di un ritorno al passato bensì sono il frutto di un ‘evoluzione delle conoscenze scientifiche che sono state acquisite in anni recenti. Vuol dire tenere conto dei danni provocati dall’avvento di pesticidi, diserbanti e di anticrittogamici che negli anni sono stati eliminati dal mercato perché provati dannosi per la salute umana e animale. Vuol dire anche aver delineato una differenziazione tra la produzione di cibo di massa a basso costo che va a scapito del reddito degli agricoltori (vedi il latte pagato dall’industria anche €17/litro e il grano a €14/q etc.) e favorisce l’indifferenziazione globale dei sapori rispetto alla qualità degli alimenti, alla produzione di cibi legati al territorio. Prodotti che son il frutto di tradizioni e di lavorazioni geniali che ne esaltano la peculiarità dei sapori e dei profumi. Cibi dedicati a un mercato più esigente, consapevole e rispettoso dell’ambiente. Formaggi, burro, oli, cereali carne, latte per un pubblico che vuole conoscerne l’origine, sapere come sono fatte e che sicuramente è anche attento all’igiene e alla salubrità di quel che mangia.
Fare agricoltura biodinamica o agro-ecologia significa reinventare l’agricoltura. Non solo usare concimi e anticrittogamici meno dannosi e più cari come troppo spesso si fa nel “biologico convenzionale”. Significa riscoprire sementi anche antiche per svilupparne linee più adatte ai territori di latitudini e climi diversi, sicuramente più idonei al consumo umano e forse meno alla lavorazione industriale. La celiachia ultimamente è stata messa in relazione alle varietà dei grani moderni americani ricchissime di glutine che prima non esistevano.
Significa aver inventato attrezzature che lavorano i terreni rispettandone la struttura, aver messo a punto tecniche culturali che incrementano la fertilità dei terreni (sovesci, letame compostato, i preparati biodinamici, ecc.) Vuol dire aver inventato macchine che sono in grado di sarchiare i terreni per togliere le erbacce anche in presenta di coltivazioni appena nate o trapiantate. Vuol dire aver messo a punto tecniche di rotazione dei pascoli che permettono di alimentare all’erba i bovini e che allungano la stagione dei prati e incrementano la fertilità dei terreni.
Nessuno pensa di mungere a mano oppure non vuole utilizzare tecniche che sanifichino il latte ma non va neanche bene vietare la produzione dei grandi formaggi francesi e italiani perché usando tecniche tradizionali che prevedono la presenza di muffe o batteri speciali e trasformano il latte in un prodotto magnifico. L’igiene nella produzione alimentare è fondamentale, ma igiene non significa sterilizzazione totale. L’equilibrio dei microorganismi è spesso una garanzia di salubrità e la microbiologia ha ultimante molto da raccontarci su questo punto. Quindi più osservazione, più studio della biologia dei processi alimentari tradizionali per replicarla con gli standard igienici contemporanei.
Per questo l’agricoltura biologica è e sarà il futuro. Si impiegano meno risorse e nel tempo si produrrà anche di più, una volta che le nostre terre avranno raggiunto una fertilità adeguata grazie a pratiche agronomiche virtuose.
Ultima considerazione: oggi il 40{db4952b922c89c84a11c12771c340231974b29b1a546ab41269169aff40af8ea} della produzione alimentare globale viene sprecata nel processo che parte dal produttore e arriva al consumatore. Il costo degli scarti e del loro smaltimento è enorme. Cerchiamo di trovare una soluzione. Sicuramente produrre cibo a basso costo che inquina i terreni e le falde acquifere e che non garantisce un reddito all’agricoltore ma costa indirettamente alla comunità non è la soluzione per il futuro.
Anna Federici
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