La crisi climatica assomiglia a un enorme prigione di entità planetaria, che intrappola l’umanità in un ambiente in continuo deterioramento
Sono rimasta molto colpita da un articolo del filoso e antropologo Bruno Latour.
La suggestione di considerare lo spazio che abitiamo sulla terra come una cupola ,degna dei migliori film di fantascienza, può capovolgere completamente il nostro modo di pensare e di agire. La nostra società occidentale tecnologica e avanzata non si è mai posta limiti. L’umanità è stata presa da un hybris di onnipotenza .
Non possiamo vivere altrove. Non vogliamo. Per ora questo è il nostro pianeta e gli apparteniamo.
Bruno Latour è un filosofo e un antropologo .E’ l’autore del libro “ Dopo il Lockdown: una metamorfosi”.
“C’è un momento in cui una crisi senza fine si può tramutare in uno stile di vita. E dall’avvento della pandemia, questo sembra essere il caso. Se così fosse, sarebbe saggio esplorare la perenne condizione in cui ci ha lasciato. Una lezione ovvia è che le società devono imparare ancora una volta a convivere con gli agenti patogeni, proprio come impararono quando Louis Pasteur e Robert Koch resero visibili i microbi grazie alle loro scoperte.
Queste scoperte riguardavano solo un aspetto della vita microbica. Ma quando si considerano anche le varie scienze del sistema terra, viene alla ribalta un altro aspetto che riguarda i virus e i batteri. Durante la lunga storia geochimica della terra, i microbi, insieme ai funghi e alle piante, sono stati essenziali, e sono ancora essenziali, per la composizione stessa dell’ambiente in cui vive l’intera umanità. La pandemia ci ha dimostrato che non sfuggiremo mai alla presenza invasiva di questi esseri viventi; siamo avviluppati ,insieme a tutti questi minuscoli esseri in ogni momento della nostra vita perchè reagiscono alle nostre azioni. Se mutano, dobbiamo mutare anche noi.
Ecco perché i tanti lockdown nazionali, imposti ai cittadini per aiutarli a sopravvivere al virus, sono una potente analogia della situazione in cui l’umanità si trova a vivere cioè rinchiusa per sempre. Il lockdown è stato abbastanza doloroso, eppure sono stati trovati molti modi, grazie anche alla vaccinazione, per consentire alle persone di riprendere una parvenza di vita normale. Ma non c’è possibilità di una tale ripresa se si considera che tutte le forme viventi sono bloccate per sempre entro i limiti della terra. E per “terra” non intendo il pianeta come può essere visto dallo spazio, ma il suo fine strato, una pellicola molto sottile, lo strato superficiale della terra in cui viviamo, e che è stato trasformato in un ambiente abitabile dal lavoro dell’evoluzione durante innumerevoli eoni.
Questa sottile matrice è ciò che i geochimici chiamano la “zona critica”, l’unico strato di terra in cui la vita terrestre può prosperare. È in questo spazio finito che esiste tutto ciò che conta per noi e tutto ciò che abbiamo mai incontrato. Non c’è modo di sfuggire alla nostra esistenza legata alla terra; come gridano i giovani attivisti per il clima: “Non esiste un pianeta B”. Ecco la connessione tra i lockdown dovuti al Covid che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, e lo stato di lockdown molto più ampio ma definitivo in cui ci troviamo: siamo intrappolati in un ambiente che abbiamo già alterato in modo irreversibile. Se siamo stati resi consapevoli dell’azione che producono i virus nel plasmare le nostre relazioni sociali, ora dobbiamo fare i conti con il fatto che anche loro si modificheranno per sempre grazie alla crisi climatica e alle rapide reazioni degli ecosistemi alle nostre azioni. La sensazione di vivere in un nuovo spazio appare di nuovo a livello locale e globale. Perché tutte le nazioni dovrebbero riunirsi a Glasgow per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di un limite concordato, se non avessero avuto la sensazione che un enorme coperchio è stato messo sul loro territorio? Quando guardiamo il cielo azzurro , non ci rendiamo forse conto che siamo sotto una sorta di cupola all’interno della quale siamo imprigionati?
È finita per noi l’idea dello spazio infinito; ora siamo responsabili della sicurezza di questa cupola sovrastante tanto quanto lo siamo per la nostra salute e ricchezza. Pesa su di noi , corpo e anima. Per sopravvivere in queste nuove condizioni dobbiamo subire una sorta di metamorfosi. È qui che entra in gioco la politica. È molto difficile per la maggior parte delle persone abituate allo stile di vita industrializzato, con il sogno di spazi infiniti e della incontenibile presunzione dell’emancipazione , della crescita e dello sviluppo , percepire improvvisamente che invece siamo avvolti, confinati, nascosti all’interno di uno spazio chiuso in cui tutte le nostre preoccupazioni sono condivise con nuove entità: altre persone, naturalmente, ma anche virus, suoli, carbone, petrolio, acqua e, peggio ancora, questo maledetto clima in costante cambiamento. Questo spostamento così disorientante è senza precedenti, persino cosmologico, ed è già fonte di profonde divisioni politiche. Sebbene la frase “tu ed io non viviamo sullo stesso pianeta” fosse una scherzosa espressione di dissenso, è diventata vera della nostra realtà attuale. Viviamo su pianeti diversi, con persone ricche che impiegano vigili del fuoco privati e cercano e costruiscono bunker per difendersi dagli eccessi climatici, mentre le loro controparti più povere sono costrette a migrare, soffrire e morire tra le peggiori conseguenze della crisi.
Questo è il motivo per cui è importante non fraintendere l’enigma politico della nostra epoca attuale. E’ un evento della portata delle scoperte avvenute dal 17° secolo in poi. Gli occidentali hanno dovuto passare dal cosmo chiuso del passato allo spazio infinito del periodo moderno. Mentre il cosmo sembrava aprirsi, le istituzioni politiche dovevano essere reinventate per lavorare attraverso le nuove e utopiche possibilità offerte dall’Illuminismo. Ora, al contrario, lo stesso compito spetta alle generazioni attuali: quali nuove istituzioni politiche potrebbero escogitare per far fronte a persone così divise da sembrare appartenere a pianeti diversi? Sarebbe un errore credere che la pandemia sia una crisi che finirà. E’ invece l’avvertimento perfetto che ci mette in guardia rispetto a ciò che sta arrivando, quello che io chiamo il nuovo regime climatico. Sembra che tutte le risorse della scienza, delle scienze umane e delle arti dovranno essere mobilitate ancora una volta per spostare l’attenzione sulla nostra condizione terrestre condivisa.”
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