“Il cibo è ciò che ci mantiene in vita ma anche quello che ci lega all’ambiente circostante, alla nostra società, alla nostra storia alla nostra epoca e al nostro stato sociale”. Così comincia “La favolosa storia delle verdure”, l’appassionante libro di Evelyne Bloch Dano.
“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”, scrive il gastronomo del XIX secolo Brillat-Savarin. Ma anche “dimmi cosa mangi e ti dirò che legame hai con i tuoi cari, con la natura, con la cultura e con la società”.
Quando mangiamo sono coinvolti il nostro cervello, i nostri sensi, la nostra psiche e naturalmente il nostro corpo.
L’uomo è l’unico essere che può scegliere la propria alimentazione, non solo in base a criteri puramente fisiologici ma anche simbolici, anche a scapito della sua salute o vita. Quanto contano gli alimenti proibiti o sacralizzati ma anche i grandi momenti di condivisione dei banchetti dei matrimoni o dei pranzi di Natale e Capodanno?
Montagne, fiumi, mari, situazioni climatiche diverse, vicende storiche come guerre, conquiste e carestie, religioni e sistemi di credenze hanno condizionato il destino culinario di intere popolazioni. La distinzione sociale si manifesta a tavola e nel comportamento degli individui nei confronti del cibo ma la globalizzazione non ha portato l’uguaglianza. Da un lato l’alta cucina, dall’altro l’abbuffata.
Le verdure ci legano alla madre terra e occupano un posto particolare nella storia dell’alimentazione. Per secoli sono state la base della nostra tavola. Coltivate, spontanee hanno assicurato la sussistenza sin dall’alba dell’umanità. Gli esseri umani hanno addomesticato le verdure come gli animali, scegliendo le piante e osservandone gli effetti sul corpo.
Verdure primaverili, estive, autunnali e invernali. “Come ci vogliono nove mesi per portare a termine una gravidanza così ci vuole tempo per far crescere un cavolo o maturare un pomodoro.”
L’avvento della chimica in agricoltura per forzarne i tempi e i risultati implica che la cultura vuole imporsi testardamente alla natura.
Le verdure rappresentano anche la tavola dei poveri nella storia sociale dell’alimentazione. Per moltissimo tempo la carne è stata segno di ricchezza. La verdura, se è un ortaggio, non era considerata abbastanza nutriente da placare la fame. E nella gastronomia di un tempo aveva un ruolo secondario ed era utilizzata come contorno in funzione sempre subalterna.
Nei tempi moderni è avvenuto il paradosso del ribaltamento. Le verdure fresche di stagione, locali e cresciute con metodi agroecologici e biologici sono il vero lusso.
Le verdure sono uno dei primi prodotti che l’uomo ha iniziato a consumare. Sono lo stato primordiale dell’alimentazione. Distratti dalla presenza sempre più invasiva di chef, sottochef e nutrizionisti vari, ci sfugge il valore arcaico dell’ ortaggio, guardiamo insomma le sue calorie reali (e per questo in un mondo ipernutrito e intossicato le verdure non sono mai state così popolari), mente dimentichiamo le «calorie affettive» che si nascondono in una carota, un cavolo, un topinambur o una zucca.
Prendiamo il cavolo, tra gli ortaggi più popolari. È dappertutto, a cominciare dai detti: entrarci come il cavolo a merenda, salvare capra e cavoli, testa di cavolo, non capirci un cavolo, cavoli riscaldati. Il cavolo è l’ortaggio per eccellenza fin dall’antichità. Cappuccio, verza, bianco e rosso, cavolfiore, navone, broccoli, broccoli romano, cavolo rapa, cavolini di Bruxelles, rutabaga.
Perché il cavolo è addomesticabile e per questo l’uomo l’ha forgiato per i suoi usi, anche se in natura se ne trovano ancora specie selvatiche. È così popolare perché c’è sempre stato: era già presente nel Paleolitico ed è stato «domesticato» 7000 anni fa. Così come la zuppa di cavolo pare sia una delle ricette più antiche, spiega Bloch-Dano.
Per citare ancora Brillat –Savarin “gli animali si nutrono, l’uomo mangia: soltanto l’uomo di spirito sa mangiare”. Ma tutti possiamo imparare.
Nell’immaginario collettivo le verdure fanno bene, non fanno ingrassare e sono ricche di vitamine e sostanze benefiche per l’organismo. Questo aspetto le allontana dal piacere.
Ma come dice Evelyne Bloch Dano “la verdura pretende che ci si occupi di lei”.
Coltivarla, prepararla e cucinarla richiede tempo, perizia, attenzione e inventiva. Allora diventa un piacere che si lega ai ricordi della nostra memoria come una zuppa di porri , una vellutata di zucca o i cavolfiori fritti. Le verdure rappresentano la famiglia e l’intimità domestica. “Parlare di verdure significa viaggiare nello spazio e nel tempo dalla sfera collettiva a quella più intima”
“Non sono così vegetative come pensiamo: nascono, vivono, muoiono e con modestia, sin dall’alba dei tempi, rappresentano forse l’incontro più fecondo tra natura e cultura”.
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